Internet: 20.000 leghe sotto i mari - Hydrogen Code
maggio 30, 2016

 

La prima cosa che facciamo quando accendiamo il computer è aprire la posta, o il browser, e iniziare a ricevere informazioni via Internet. Spesso, nell’attesa che si avvii il sistema operativo iniziamo a sbirciare le news online dal telefono o dal tablet. Siamo talmente abituati a essere connessi che pretendiamo di avere campo quando viaggiamo in metropolitana, quando stiamo navigando in mezzo all’oceano su una nave da crociera e addirittura quando siamo a 10.000 metri d’altezza, in viaggio verso nuove mete. Solo 20 anni fa ci riuscivamo ad accontentare di un modesto modem a 28.8 kbps, pagando profumatamente il tempo speso online mentre oggi ci innervosiamo facilmente se ci troviamo in una zona priva di copertura 4G.

Immagine: © TeleGeography


Diamo Internet per scontato, come l’acqua corrente e la fornitura elettrica, ma probabilmente non abbiamo mai approfondito il suo funzionamento. Come viaggiano i dati? Quali vie seguono i bit che compongono il filmato che stiamo guardando in streaming da un server statunitense? Il grosso dei dati viaggia su cavi sottomarini, lunghissimi fili di fibra ottica che vengono posati sul fondo dell’oceano e si collegano a dei data center presenti ai due estremi. Un esempio possiamo vederlo nell’immagine qui sotto.

Foto: © Carl Osborne


Enorme? In realtà, nemmeno troppo. La parte più larga è un amplificatore di segnale, fondamentale per evitare che sulle lunghe distanze il segnale si attenui. Il cavo in sé è decisamente più compatto, come possiamo vedere qui.

Foto: © Bob Dormon / Ars Technica


Questo apparentemente comune cavetto è in grado di trasportare dati alla velocità di ben 10 Terabit al secondo da un capo all’altro dell’oceano. Il data center è poi a sua volta collegato ai vari provider di connettività sempre tramite linee in fibra ottica, terrestri in questo caso. Il viaggio verso i clienti, si tratti di abitazioni o uffici, rappresenta l’ultima tratta del percorso ed è l’unica a non essere in fibra. O, meglio, non sempre: sempre più zone sono coperte dalla fibra ottica ma, in percentuale, è una tecnologia che da noi sta iniziando a diffondersi solo nelle grandi città. A volte la fibra arriva direttamente a casa (FTTH) in altri casi invece si ferma alla centralina di quartiere e da lì i dati proseguono sino al cliente su rame. Quest’ultimo tratto (il famoso ultimo miglio) è quello più delicato: quando i dati passano su cavi in rame, la velocità di trasmissione è influenzata dalla distanza. Più siamo lontani dalla centralina, minore sarà la velocità massima a causa dei disturbi e delle interferenze, alle quali la fibra ottica è insensibile. È per questo motivo che una linea ADSL che dovrebbe portare teoricamente 20 Mbit/s non raggiunge mai lo standard promesso.

Se i tecnicismi interesseranno un numero limitato di persone, risulta più difficile rimanere insensibili all’impatto che questi “fili” hanno sulla società. Già nel 1996 lo scrittore americano Neal Stephenson aveva pubblicato un lunghissimo articolo su Wired parlando proprio di queste dorsali transoceaniche. Armato di GPS aveva documentato la stesura di 28.000 km di fibra ottica che avrebbero portato connettività veloce a svariate nazioni, sia a potenze economiche sia a paesi in via di sviluppo. A 20 anni di distanza, vediamo la portata di questo mastodontico lavoro. Nel 2014, la foto “African Migrants Looking for Cell Signal” vinse il concorso World Press Photo immortalando i migranti africani coi cellulari al cielo alla ricerca del segnale telefonico. In paesi dove l’acqua è un bene prezioso e non sempre disponibile, la connettività non manca e spesso è l’unico modo per mantenere i contatti fra un villaggio e l’altro.

Foto: © John Stanmeyer


L’accesso a Internet non è più uno sfizio per benestanti ma un bene ormai fondamentale, sia che si viva in una nazione iperconnessa sia che ci si trovi agli estremi del mondo, in paesi rurali, dove la Rete rimane l’unico modo per comunicare senza fare decine di km a piedi, per rispondere alle emergenze. 

Nonostante non siamo più in grado di farne a meno, l’infrastruttura è ancora fragile. Nel 2008 l’Egitto era rimasto tagliato fuori dalle comunicazioni per svariate ore dopo che tre cavi sottomarini furono tranciati per errore da alcune navi. Pochi mesi prima era successa la stessa cosa alla dorsale che collega Marsiglia a Singapore. Questi sono solo i casi più eclatanti ma ogni anno vengono effettuate svariate decine di riparazioni a queste infrastrutture e, oltre agli incidenti, non andrebbero trascurati attacchi deliberati. Nel 2015 il Pentagono aveva evidenziato come sempre più navi e sottomarini russi si trovino a distanze molto ravvicinate dalle dorsali, mettendo a rischio comunicazioni ed economia. Pensiamo a quanti miliardi andrebbero in fumo se Wall Street, o qualsiasi altra borsa, rimanesse disconnessa anche solo per pochi minuti. 

Per quanto possa sembrare surreale è innegabile che le nostre vite sono appese a un filo. Letteralmente.