I maggiordomi invisibili che presto entreranno nelle nostre case - Hydrogen Code
marzo 27, 2017

Tutto è iniziato con Siri, l’assistente virtuale lanciato da Apple nel 2012 che permetteva agli utenti iPhone di gestire una buona fetta delle funzioni del telefono semplicemente parlandogli. Una prolungata pressione del tasto home e Siri si sveglia, pronta a soddisfare qualsiasi esigenza: indicare la pizzeria più vicina, inviare un SMS o far partire una playlist di musica rock. 

Inutile dire che ci è voluto poco per far innamorare i possessori di iPhone di questa nuova peculiarità, tanto che la concorrenza non ha perso tempo nel cercare di seguire l’onda. Ecco quindi che in pochi anni si è passati dall’assistente sul telefono, che richiede di prendere in mano lo smartphone per attivarlo, ad assistenti ancora più comodi ed efficienti capaci di reagire ai nostri comandi senza dover impugnare alcunché. Parliamo di Amazon Echo e Google Home, non ancora disponibili in Italia ma amatissimi nel mondo anglosassone dove hanno letteralmente spopolato. Possiamo considerarli come dei maggiordomi digitali: li posiamo in casa, colleghiamo alle rete e basta, possiamo pure dimenticarci che esistono. Vogliamo ascoltare musica? Basta dirlo! Invece di Jeeves avremmo a che fare con Alexa (questo il nome dell’assistente virtuale di Amazon Echo) o con Google, ma i risultati saranno all’altezza. Il sarcasmo, di contro, risulterà meno pungente. Per quanto sia Alexa sia Siri siano in grado di raccontare barzellette e ogni tanto rispondano in maniera esilarante, siamo ancora lontani da persone reali. 

Inutili orpelli, penserà qualcuno, una sorta di elogio della pigrizia. Perché si dovrebbe parlare con una macchina? Per non voler fare lo sforzo di allungare il braccio e prendere il telefono appoggiato sul comodino? È un ragionamento che non tiene conto di alcuni aspetti. Tendiamo a pensare che la tecnologia sia una prerogativa delle nuove generazioni, capaci di adeguarsi a nuove interfacce con una naturalezza disarmante, ma non è così. La tecnologia deve essere universale e un’interfaccia vocale è senza dubbi la soluzione più naturale. Chiedete a un 70enne di controllare il meteo o le news da uno smartphone: nella maggior parte dei casi, si bloccherà di fronte all’interfaccia touch. Chiedetegli di “parlare” con Google Home o Echo e si ritroverà perfettamente a suo agio.

Un discorso che si estende facilmente a chi soffre di disabilità. Per la maggior parte delle persone il controllo vocale magari è uno sfizio, una comodità in più, ma per alcuni individui la voce è l’unico modo per interagire col mondo. Ben venga quindi una spinta allo sviluppo delle interfacce vocali e delle Intelligenze Artificiali. Oggi si limitano a darci informazioni, domani saranno più evolute. Unite ad altri gadget connessi, come i sempre più diffusi braccialetti fitness, potranno chiamare supporto in caso di emergenze, segnalare intrusioni nell’appartamento, tenere sempre sotto controllo la casa e i suoi abitanti come farebbe un fidato maggiordomo. 

Per l’affermarsi di queste tecnologie sarà però fondamentale risolvere i nodi legati alla privacy. Alla fine, ci stiamo mettendo in casa dei microfoni che ascoltano e “vedono” tutto quello che accade in casa: gli utenti vanno rassicurati su come questi dati vengono raccolti, protetti e utilizzati. In particolare quando sono coinvolti anziani o persone che soffrono di disabilità, i cui dati privati sono ancora più delicati da gestire.