Pinocchio cyberpunk visita il paese dei balocchi - Hydrogen Code
dicembre 9, 2016

Quando Mastro Geppetto iniziò a costruire il suo Pinocchio non ambiva a realizzare un surrogato di un figlio. Tutto era partito da un pezzo di legno e dalla sua passione per l’intaglio. Man mano che il tronco di legno formava una figura umana, le ambizioni sono salite inaspettatamente. Geppetto non si è limitato a dare una forma alla materia prima. Ha plasmato anche la capacità di pensare di Pinocchio, insegnandogli a camminare, parlare, giocare e soprattutto imparare. Tanto da mandarlo a scuola. Cosa che, ovviamente, non amava. Da buona testa di legno Pinocchio preferì fare di testa sua, non ascoltare più le parole del saggio Geppetto per affidarsi a quei loschi ma carismatici individui che erano il Gatto e la Volpe. Sbagliò Pinocchio, in più di un’occasione. Mettendosi nei guai e imparando dai propri errori, sino a diventare un vero bambino, non più una marionetta capace di qualche semplice pensiero. 

Collodi scrisse il suo capolavoro nel 1881. A oltre un secolo di distanza il mestiere del burattinaio è molto meno diffuso di allora, le marionette di oggi sono state sostituite da robot, creati da ingegneri, non più da falegnami. Da più di 50 anni a questa parte, gli ingegneri stanno ripercorrendo le gesta del buon Geppetto. Per davvero. Un lavoro lungo che inizia nel 1966. Il Geppetto della situazione è Joseph Weizenbaum, il suo burattino è Eliza, uno dei primi software di Intelligenza Artificiale. Inizialmente impreciso, dozzinale, poco convincente, col tempo gli studi nel settore ci hanno portato ad algoritmi ben più raffinati. Incapaci di superare il Test di Turing ma pur sempre intriganti. Pensiamo a Siri e Alexa, gli assistenti virtuali di Apple e Amazon. Si ricordano il nostro nome e obbediscono a vari comandi; sanno dirci che ora è a New York, quanti denti ha un coccodrillo e fra quanti minuti arriverà il tramonto. Provate però a chiedergli una sequenza di azioni, per esempio “fai partire il timer dopo che ho ascoltato Yellow Submarine dei Beatles”: metterete Siri o Alexa in imbarazzo. 

Per quanto ci illudano di essere geniali, queste due IA non sono particolarmente perspicaci. Agiscono e rispondono, ma senza capire. Risolvono equazioni matematiche in un istante, ma non ne comprendono completamente il significato. Sanno tradurre parole straniere, ma non sono in grado di mettere in piedi una frase coerente. Sono come Pinocchio quando incontra il Gatto e la Volpe: apparentemente capaci di decidere, ma totalmente inadatte a farlo. 

Se ne consideriamo l’evoluzione, però, c’è da rimanere a bocca aperta. Oggi i computer ci parlano, ci assistono, ci consigliano strade alternative, ristoranti, amicizie e letture. Tutto sulla base dei nostri gruppi, delle informazioni che condividiamo con la macchina. Ancora qualche anno e le IA saranno praticamente indistinguibili dalle intelligenze reali e oltre a farci da assistenti, guideranno le nostre auto in totale autonomia. Ci verranno a prendere in ufficio e, si spera, ci riporteranno a casa dal pub, permettendoci pure di goderci un paio di bicchieri in più. 

Quello che ancora manca loro è una forma fisica, anche se le ricerche in questo campo stanno correndo velocemente. Perché dovrebbe interessarci la forma? Perché sino a che le IA non avranno corpo le considereremo diverse da noi. Ci fideremo di loro per i calcoli, per affidarle la guida dell’auto, per calcolare le tasse e addirittura per suggerirci come curare le malattie. Difficilmente però racconteremo loro come è andata la nostra giornata, non ci sfogheremo con un’IA quando saremo tristi dopo una litigata col partner. Non sino a che saranno immateriali.


Quando al posto di un altoparlante ci troveremo un androide in tutto e per tutto somigliante a una persona cosa accadrà? Ancora oggi ci divertiamo a prendere in giro una suoneria telefonica, così come Siri: faremmo lo stesso con un robot indistinguibile dal signore che incrociamo ogni giorno entrando in casa? Se Siri fosse rappresentata da un agglomerato di silicio umanoide che cammina, sorride e mostra empatia, saremmo più portati a confidarci con una macchina? A chiedergli consigli personali, su questioni magari affettive, non meramente tecniche?

Quando questi androidi saranno indistinguibili dagli esseri umani, come verranno trasformate le nostre relazioni sociali? Soprattutto, come potremmo capire quando queste intelligenze artificiali avranno la maturità per smettere di essere marionette e diventare bambini veri?